“Oriente e Occidente, come due draghi scagliati in un mare agitato, lottano invano per riconquistare il gioiello della vita… Beviamo, nel frattempo, un sorso di tè. Lo splendore del meriggio illumina i bambù, le sorgenti gorgogliano lievemente, e nella nostra teiera risuona il mormorio dei pini. Abbandoniamoci al sogno dell’effimero, lasciandoci trasportare dalla meravigliosa insensatezza delle cose.”
È una frase dal meraviglioso volume “Lo zen e la cerimonia del té” (Universale Economica Feltrinelli) di Okakura Kazukō, orientalista e poeta discendente da una famiglia di samurai; il suo è il primo libro sulla cerimonia del tè mai scritto in inglese. Lontano dall’assai riduttiva definizione di guida di comportamento nel pur intricato cerimoniale giapponese, è un viaggio appassionante nella filosofia e cultura giapponese, di cui se volete potete scaricare la versione gratuita in inglese qui.
Ci pensavo per affinità e contrasto ieri pomeriggio, versando alcune foglie di tè verde nella mia teiera preferita, e secondo il flusso costante di libera associazione mi è tornato alla mente un pomeriggio passato qualche mese fa alla Fondazione Bisazza (a Montecchio Maggiore in provincia di Vicenza), un luogo per me magico.
Negli ex stabilimenti della famosa azienda produttrice di mosaici, una attenta opera di riqualificazione operata dall’arch. Carlo Dal Bianco all’insegna di un luminoso minimalismo ha trasformano gli ampi saloni un tempo adibiti alla produzione in un percorso espositivo dal fascino magnetico e quasi zen. Sono circa 6000 mq di spazi, in cui ciascuna sala è dedicata all’opera di uno dei numerosi designer internazionali che hanno collaborato con il marchio: tra gli altri, Alessandro Mendini, Patricia Urquiola, Marcel Wanders, Fabio Novembre, Ettore Sottssass e soprattutto Studio Job, che nella sala due ci invita ad una sontuosa cerimonia del tè con giganti riproduzioni di otto classici pezzi di argenteria di un tradizionale servizio da tè inglese: alzata , teiera , cucchiaio, vassoio, portafrutta, piatto da portata, portacandele e lampadario.
Tutto è grandissimo ed interamente ricoperto di mosaico in oro bianco a 18kt: il pavimento scuro contrasta con il candore assoluto di pareti e piedistalli, mentre l’ampia volta industriale del salone inonda di luce naturale e diffusa. Nel vassoio appeso alla parete si rispecchiano in un gioco di prospettive la teiera, l’alzata e la celebre Poltrona di Proust di Mendini, a sua volta gigante, ma coloratissima; è un luogo d’incanto in cui smarrirsi come Alice nel Paese delle Meraviglie, in cui danzare ad occhi chiusi volteggiando attorno alle teiere come Bella nel film, in cui respirare a fondo la bellezza rarefatta e imponente degli spazi disegnati dai riflessi molteplici e cangianti delle tessere di mosaico.
“Bellezza è verità, verità è bellezza, questo è tutto ciò che sappiamo, e ciò che ci serve sapere sulla terra” sono gli immortali versi che ci ha lasciato il poeta inglese John Keats nella sua Ode su un’urna greca; vivere circondandomi di più bellezza possibile è l’unico imperativo categorico kantiano a cui mi senta di giurare assoluta obbedienza. Armonia, rispetto, purezza e tranquillità sono i principi fondamentali dell’antica cerimonia del tè giapponese, ma anche ciò che si respira negli spazi della Fondazione.
Ho scelto di unire le due cose per un momento di piacere a casa mia acquistando le teiere e le tazze di Denota, che mi ricordano nella forma arrotondata ed elegante quelle di Studio Job, e nascono dal medesimo atteggiamento di consapevole contaminazione culturale e ricerca costante di esperienze, stimoli e sensazioni; ho scelto il colore verde per degustare il mio tè in giardino e iniziare la giornata con un momento di armonia e bellezza.
Mi sono concessa anche il lusso di un biscotto con gocce di cioccolato, prima di appoggiare la tazza e prendere i cupcakes dal forno per la colazione dei miei figli.
La felicità, in fondo, è una cosa semplice, ma occorre sorseggiarla con attenzione e consapevole lentezza. Proprio come il tè.