Vi siete mai chiesti perché i mesi primaverili sono sempre così densi di nuove uscite di serie TV? Può sembrare strano a noi italiani, abituati a un palinsesto televisivo che inizia con l’apertura delle scuole e poi “muore” a primavera per poi “rinascere” ancora a settembre/ottobre, ma la televisione internazionale funziona molto diversamente.
In USA e altrove l’estate non è un periodo poco redditizio né per il cinema – e infatti molti blockbuster escono d’estate per arrivare poi in autunno da noi – e neppure per la televisione. Gli addetti ai lavori non fanno vacanza in agosto come noi, le città non si svuotano e in genere appena dopo lo spring break (la settimana o più di chiusura scolastica che avviene a Marzo/Aprile) vengono inaugurati nuovi show, spesso alcuni tra quelli più attesi dal pubblico.
E i nuovi show sono così tanti che può essere difficile orientarsi, visto che il tempo a disposizione è sempre troppo poco e l’offerta è ampissima. Ecco quindi per voi una piccola guida alle cinque migliori serie televisive che iniziano (o continuano) in primavera, per navigare il mare della serialità e impiegare al meglio le vostre serate.
1// The Handmaid’s Tale
Ormai è quasi impossibile non averne almeno sentito parlare, dato che ha vinto 8 Emmy Awards e 3 Golden Globe l’anno scorso. The Handmaid’s Tale è partita con la sua prima stagione nell’aprile del 2017 ed è basata sul romanzo distopico del 1985 Il racconto dell’ancella, dell’autrice canadese Margaret Atwood. É distribuita (insieme alla MGM) e prodotta dal servizio di video on demand statunitense Hulu, mentre in Italia potete seguirla su TIM Vision. La storia dipinge un futuro imprecisato in cui avere figli è divenuto quasi impossibile e una dittatura religiosa ha preso i controllo del Nordamerica, privando le donne di ogni diritto civile e dividendole in classi definite dalla loro “utilità sociale”. June/Offred, la protagonista, è un’Ancella selezionata per la sua capacità di avere figli e costretta ad accoppiarsi con gli uomini al potere che desiderano averne, perdendo persino il proprio nome, che cambia di volta in volta quando cambia l’uomo a cui viene assegnata (Offred infatti sta per of Fred, DI Fred). La serie nella prima stagione ha seguito la discesa di June in questa nuova agghiacciante realtà, concludendosi con una ribellione aperta; la seconda, che ormai è totalmente slegata dagli eventi del libro, ci racconterà le conseguenze di questa ribellione per June e per chi la circonda.
The Handmaid’s Tale ha una confezione pressoché perfetta: una protagonista come Elizabeth Moss, attrice di talento capace di incarnare con grande sensibilità e riempire di chiaroscuri il ruolo di Offred (e che tra l’altro è sotto contratto per 5-7 stagioni e si è anche ritagliata un ruolo piuttosto attivo come produttrice), una serie di registe che hanno dato un’impronta decisamente autoriale alla messa in scena, gli evocativi e geniali costumi di Ane Crabtree, ispirati ai contemporanei culti religiosi. Il vero punto di attrazione dello show è però il suo impatto emotivo, cui contribuisce l’essere arrivato in un momento in cui (tra presidenza Trump e #metoo) il dibattito femminista in USA si è fatto incendiario. E in effetti The Handmaid’s Tale può anche sembrarci irreale, ma basta leggere gli agghiaccianti racconti delle donne che vivono nei cosiddetti “Stati Terroristici” (pensiamo ai rapimenti delle donne Yazidi da parte dell’ISIS, ad esempio), per capire che la parità dei diritti non è solo qualcosa di fragile e tutt’altro che scontato, ma soprattutto che il corpo della donna è terreno di battaglia per qualsiasi regime in qualsiasi momento della storia, indipendentemente dal credo religioso o dalla posizione geografica. La capacità dello show di coniugare una messa in scena sontuosa e un ritmo perfetto per il grande pubblico con un tema così difficile e un realismo a tratti perfino disturbante è il motivo per cui non potete perderla: non è soltanto la serie TV del momento, ma è anche fatta per durare e lasciare un segno in un gran numero di spettatori.
2// The Good Fight
Se The Handmaid’s Tale è una serie in grado di piacere a tutti ed emozionare un pubblico molto ampio, grazie alla spettacolarità e alla sua narrazione semplice, dal messaggio immediato, The Good Fight è invece una serie che mira a colpire al cuore con sottigliezza e ironia. Ciò che le unisce è l’attinenza con il momento presente, la voglia di mettere in scena, sia pur con registri molto diversi, il sentimento rispetto alla presidenza Trump e alla regressione dell’America (ma non solo) sui diritti civili.
Cosa non semplice, ma The Good Fight riesce a farlo prendendo un universo già esistente (è infatti lo spin-off di una serie di enorme successo, sempre scritta dai coniugi King, The Good Wife), quello dei grandi studi legali liberal di Chicago, e ribaltandone le logiche mettendo i suoi protagonisti nelle condizioni di non capire più la reatà che li circonda. Il mondo privilegiato che gira attorno alla protagonista Diane Lockhart e alla sua cerchia ristretta di avvocati di Chicago continua a precipitare verso l’assurdo, caso dopo caso, nel carosello dei reality show, dell’infotainement, dell’alternative truth e la serie lo segue senza mai dimenticare l’intrattenimento, che mescola le vite private degli avvocati con casi legali estremamente credibili e attentamente documentati.
The Good Fight è un procedurale che piacerà a chi ama le storie di avvocati, che divertirà chi ama le serie che sanno dosare dramma e ironia, che farà una breccia nel cuore di chi sa apprezzare una perfetta fusione di intrattenimento e contenuto. Ma soprattutto, è scrittura televisiva ai suoi livelli più alti che si concretizza in uno show capace di osare nella lettura del qui e ora con coraggio. In America va in onda su CBS All Access, costola on demand di CBS, in Italia potete trovarla su TIM Vision.
3// The Good Place
Queste serie ha pochissimo in comune con la precedente, a parte il titolo, e a dire il vero è una serie impossibile catalogare in una delle qualsiasi categorie a cui siamo abituati, tantomeno assimilarla alle altre serie di NBC, il network generalista su cui va in onda (in Italia la prima stagione è appena approdata su Netflix). Ambientata in un aldilà ripulito di qualsiasi immaginario religioso, The Good Place racconta di Eleanor (Kristen Bell, che forse avete già amato in Veronica Mars e come voce narrante di Gossip Girl), una donna mediocre e cinica che muore e finisce per errore nel “posto giusto” del titolo, un paradiso che assomiglia più a una Disneyland per adulti che a un luogo di eterna pace e contemplazione religiosa. La grande scommessa iniziale di The Good Place sta infatti nel riuscire nell’impresa quasi impossibile di parlare dei concetti di bene e male in tv come si farebbe a una lezione di Storia della Filosofia Morale, parlando di utilitarismo, esistenzialismo Kant e Aristotele senza diventare una sorta di “filosofia for dummies”; ricavando, anzi dalle dottrine ogni possibile spunto comico, mettendole in scena con libertà creativa ma con coerenza, ma soprattutto usando l’etica come uno strumento di riflessione sull’essere umano e sul suo rapporto con sé e con gli altri (infatti è grazie al professore di Etica Chidi che Eleanor concepisce l’idea di guadagnarsi il paradiso diventando una persona migliore, anziché nascondersi). La prima stagione sembra porci di fronte semplicemente a una comedy intelligente e ben fatta, ma The Good Place è ben più di questo, perché alla già imponente scommessa di far ridere parlando di etica e responsabilità, aggiunge sul piatto una struttura narrativa come in una comedy non ne avete mai viste prima. Sì, perché The Good Place fino alla fine della prima stagione sviluppa brillantemente un plot per poi negarne i presupposti fondamentali nell’ultimo episodio (di cui non vi diciamo di più perché anche alla fine della seconda stagione, QUEL plot twist è ancora una delle ragioni per mettersi in pari con lo show). E poi prende la situazione di stallo che aveva creato e la ripete e la esaspera situazione per situazione, creando una struttura molto più simile a Lost e a The Leftovers che a qualsiasi altra comedy in circolazione. The Good Place è una satira, è sperimentazione creativa a livelli altissimi, è un world building originale e complesso ma soprattutto è un lavoro maturo e raffinato, che si presenta sotto le mentite spoglie di una confezione leggera, ma nasconde i concetti più complessi e stratificati che possiate trovare nella televisione contemporanea.
4// Jane The Virgin
Prendete una telenovela Venezuelana, con quel tipo di serialità velocissima, piena di colpi di scena e ribaltamenti del plot che ti lasciano stupito e ti disorientano in un caleidoscopio di eventi. Portatela nell’allegria del colori di Miami, in quel mood iperrealista, iper colorato, ipercinetico. Fatela riscrivere da una donna under 40, capace di inventarsi almeno 5 o 6 colpi di scena per episodio, per un totale di più di venti episodi a stagione, ormai da tre stagioni. Aggiungeteci un cast di attori bravi, una dose fortissima di riflessione sociale, un umorismo metatestuale esplosivo che gioca coi cliché della telenovela prima assecondandoli poi rinnegandoli e di continuo sballlottando lo spettatore dalla finzione alla realtà poi di nuovo a una realtà che finge di essere una finzione e poi di nuovo a plot elaboratissimi che sembrano inventati poi invece sono veri. Questo, e molto di più, è Jane The Virgin, una delle più geniali comedy della tv contemporanea, fiore all’occhiello della rete broadcast CW che in 4 stagioni (in Italia la trovate su Netflix fino alla terza) ha fatto incetta di nomination, giudizi critici entusiasti e altrettanto entusiasmo da parte del pubblico.
Se l’avete accantonata pensando che una serie che parla di una ragazza vergine e religiosa sia una palla paurosa, vi sbagliate di grosso. Perché Jane The Virgin tiene insieme una trama che parte da una protagonista che resta incinta pur essendo vergine e continua per tre stagioni con rapimenti, omicidi, tradimenti, rivalità tra star delle telenovelas con una sceneggiatura che è un meccanismo a orologeria, che dice cose molto serie senza prendersi sul serio, senza retorica e senza inutili mugugni e toni dark. Jane The Virgin è bella, vi farà ridere e vi farà appassionare senza mai annoiarvi per un singolo secondo ma anche senza mai scadere nella superficialità, e dopo 22 episodi della prima stagione passerete subito alla seconda e poi alla terza, e poi alla quarta (che si è appena conclusa ed è probabilmente è anche la migliore).
5// Killing Eve
Anche quest’ultima serie è un oggetto misterioso, diverso dal solito e ancora più misterioso perché non si è ancora conclusa: prodotta e distribuita da BBC America, ha come protagonista Sandra Oh – nel suo primo ruolo da protagonista dopo Grey’s Anatomy – e Jodie Comer, già nota per My Mad Fat Diary e Thirteen. Killing Eve è l’adattamento di una serie di romanzi scritti da Luke Jennings, scritto e sviluppato da Phoebe Waller-Bridge, amatissima e lodatissima autrice della serie Fleabag. La prima stagione conta 8 episodi, tutti carichissimi di tensione ma anche estremamente divertenti, che seguono la rivalità/attrazione reciproca tra Eve, un’annoiata addetta alla sicurezza dell’MI5, e la psicopatica assassina Villanelle a cui sta dando la caccia. Ossessionate l’una dall’intelligenza dell’altra, le due danno vita a un gioco del gatto col topo che si fonde a un intrigo internazionale, mettendo due donne in ruoli tradizionalmente maschili da spy story e creando uno show dallo stile unico capace di fondere comedy e tensione in maniera fluida, brillante, assolutamente inedita. Arrivato al suo quinto episodio e unanimemente lodato dalla critica, Killing Eve è già uno degli show imperdibili di questa primavera 2018. Probabilmente, come altri show BBC America, arriverà su Netflix con un po’ di ritardo rispetto alla messa in onda americana, voi tenetelo d’occhio perché una perla del genere vale assolutamente il vostro tempo.
Le avete già viste? Quali sono le vostre preferite?
Preparate uno snack prima di immergervi nella prossima serie!
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