“Mamma, non rompere!!”
Tra le verità universalmente riconosciute, che sia una famiglia felice come tutte o infelice a modo suo, è che la madre acquisisce, nel corso dei primi anni di vita della propria progenie, una sorprendente attitudine, che sembra crescere nottetempo proprio come il sangue del suo sangue e la carne della sua carne, ovvero la capacità di rompere le scatole, tra l’altro somigliando sempre di più e sempre più pericolosamente alla propria, di madre. Sfido chiunque di voi abbia almeno un figlio di almeno 4-5 anni a negare di essersi mai ascoltata con orrore pronunciare le fatidiche frasi sui bambini dell’Africa che muoiono di fame, su questa casa che non è un albergo, sulle verdure che fanno bene e stai composto a tavola e non si mangia con le mani e soprattutto, la migliore in classifica, quella che tanto profondamente odiavamo da piccoli quanto invece apprezziamo ora, “perché lo dico io”.
Aver guadagnato faticosamente il diritto di affermare perentoria che si fa così “perché lo dico io” è una delle mie più grandi rivincite personali, anche se purtroppo neanche i bambini di oggi sono più quelli di una volta, e i miei figli non si fanno remore a contrapporre alle mie dichiarazioni un pacifico, incrollabile e saldo NO. La fregatura ovviamente arriva nel momento in cui la sventurata (sempre io), avendo letto il libro sul metodo danese per crescere bambini felici (no, l’hygge non funziona, va benissimo per le foto su instagram, ma provate voi a educare un figlio con le candele profumate) e altri settecento volumi di psicologia dell’infanzia, quindi tenta la via della diplomazia e delle suppliche, altrettanto vana e se possibile ancora più frustrante.
Resta il fatto che le frasi classiche proprio da mamma le dico anche io, eccome se le dico. Ogni giorno, come un mantra, un disco rotto, è una specie di ohmanipadmeohm, mangialaverduraommmm, e i miei figli subiscono le conseguenze delle mie frustrazioni infantili, naturalmente amplificate. Del resto, dobbiamo pure fornire materiale agli psicoterapeuti, dice la mia amica Virginia, che casualmente di lavoro fa proprio la psicoterapeuta. Le mie, di frustrazioni, tendono a diminuire quando però posso dedicarmi a una delle mie attività sportive preferite, nella quale, vi dirò, sto dimostrando una crescente e pavloviana prontezza di riflesso francamente piuttosto preoccupante, ovvero lo shopping online. Più frustrata di così, che meraviglia di clichè.Però questi piatti, voglio dire. In corsivo quello bello, che anche se mi ci impegno non riesco più davvero a scrivere in quel corsivo lì, ondeggiante, infantile, profumato di Coccoina e carta spessa, penne cancellabili (solo in teoria, in pratica si bucava il foglio) e soldino motta per merenda. Di acciaio smaltato, come quelli appesi alle pareti di certe vecchie trattorie, che non li puoi mettere in microonde né in lavastoviglie, ma chissenefrega, io li appendo nella cucina nuova (avrò una cucina nuova, ve lo racconto nei prossimi post, che tanto siamo su un foodblog e quindi vale tutto). Tra l’altro, ora che ci penso, comprare cose poco pratiche che non vanno in lavastoviglie né in microonde ma sono proprio tanto tanto belle non è affatto da mamma, il che, ne converrete, è davvero un gesto ribelle e rivoluzionario, insomma, un gesto proprio da figlia. Quando li vedrà mia madre, probabilmente disapproverà, e io potrò dirle “mamma, non rompere”, chiudendo il cerchio, rotondo e perfetto, proprio come un piatto, che però è d’acciaio, e non si rompe.
(se anche voi vi siete innamorati/e, li trovate qui)